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Genny Moccia

Asthanga Yoga di Patanjali


Cos'è lo Yoga?

Analizziamo tanto per cominciare l’etimologia di questa parola:

YOGA = YUIN = UNIFICARE.

Unificare, diversamente dal termine “unire”, significa che due o più cose hanno un’unione talmente profonda da non poter essere separate.

Nello Yoga si ha l’unificazione tra Jivatman e Paramatman.

Il Jivatman è la coscienza individuale ed il Paramatman è la coscienza cosmica

Chi è Patanjali?


Lo Yoga, pratica spirituale molto antica, fin dalle origini è sempre stato tramandato oralmente, da maestro a discepolo con metodo iniziatico, fino a che un famoso filosofo, che molti collegano cronologicamente tra il 400 a.C ed il 400 d. C., decide di portare per iscritto e riordinare tale filosofia in un libro, lo “Yoga Sutra”.

Il suo nome è Patanjali, (pata = caduto dal cielo e anjali o jali = mudra della preghiera), ovvero “la grazia caduta dal cielo”.

Si narra che Patanjali fosse l’incarnazione di una creatura mitologica risalente al V millennio a.C., Shesha, della stirpe dei Naga, gli uomini serpente facenti parte della religiosità e della mitologia vedica ed induista a partire dalla tradizione orale.

Patanjali, praticante e studioso dello Yoga, decide quindi di codificare questa pratica e di esporla in un libro, per rendere a livello informativo, l'elevata esperienza di realizzazione assoluta del Sé, alla conoscenza del popolo.

Gli “Yoga Sutra” diventano quindi un manuale pratico di utilissime “istruzioni per l’uso”.

Gli “Yoga Sutra”


L’opera di Patanjali consiste in una raccolta di 196 aforismi o versi (sutra).

Sutra significa legame, infatti in questo libro, le idee si legano l’una all’altra secondo un filo conduttore ben preciso.

Il testo è suddiviso in quattro capitoli:


  1. Samadhi pada: (51 sutra) viene illustrato in questo capitolo lo yoga e le sue caratteristiche e come conseguire lo stato di samadhi, vengono esposte le difficoltà che si possono incontrare in questo percorso ed i modi per affrontarle.


  1. Sadhana padan: (55 sutra) vengono qui descritti il Kriya Yoga, anche detto “yoga dell’agire” e l’ Asthanga Yoga, denominato "Yoga degli otto stadi", o Raja Yoga (Yoga regale).


  1. Vibhuti padah: (56 sutra) in questo capitolo vengono descritte le pratiche interiori, le condizioni alterate dei sensi e le percezioni che possono permettere una conoscenza più profonda della realtà e della percezione.


  1. Kaivalya padah: (34 sutra) kaivalya significa “separazione” ed in questo capitolo si allude alla separazione tra spirito e materia, con la conclusione di una descrizione sulle possibilità di una mente purificata.

Il fine ultimo di una pratica ben eseguita in ogni sua parte, descritto in quest’opera, è il Samadhi, il riuscire cioè utilizzando il corpo, la mente ed il respiro, a raggiungere uno stato di beatitudine totale, nella quale tutto è connesso e si ha la pura consapevolezza, attraverso precisi comportamenti di purificazione e disintossicazione della mente e del corpo stesso.


Nell’ultimo secolo soprattutto in occidente sono nate tante scuole di yoga ed anche se non tutte utilizzano le stesse tecniche per raggiungere il fine ultimo, tuttavia ognuna di loro riconosce il valore degli Yoga Sutra di Patanjali.


Asthanga Yoga


Lo yoga descritto da Patanjali viene chiamato Asthanga Yoga.

ASTHANGA = ASTHA (otto) ANGA (stadi, membra).

Il percorso descritto in questo tipo di yoga è composto da otto stadi da raggiungere per abbandonare le limitazioni della mente e conseguire la liberazione verso la scoperta di se stessi.

Questi otto stadi si suddividono in: cinque pratiche esterne, chiamate bhairanga, comportamentali e fisiche e tre pratiche interne chiamate antaranga, di natura più spirituale.

Gli otto stadi dell’Asthanga Yoga:


  1. YAMA: è la disciplina che riguarda le relazioni interpersonali ed il controllo.

  2. NIYAMA: è la disciplina che riguarda l’osservanza di un corretto approccio con se stessi.

  3. ASANA: è la pratica delle posture fisiche.

  4. PRANAYAMA: è il controllo del prana attraverso la pratica degli esercizi di respirazione.

  5. PRATIYAHARA: è la pratica di ritrazione della mente dal mondo esteriore ed induce il passaggio all’anga successivo.

  6. DHARANA: è la pratica di concentrazione della mente chepermette di eliminare le distrazioni e quindi di entrare nei livelli più spirituali.

  7. DHYANA: è la contemplazione di ciò che cerchiamo di comprendere attraverso la meditazione.

  8. SAMADHI: è la pratica dell’estasi suprema, l'immersione nel Tutto.

I primi quattro stadi: Yama, Niyama, Asana e Pranayama, costituiscono l’ Hata Yoga, cioè un lavoro sul comportamento, l’atteggiamento e la respirazione, che portano alla purificazione fisica e psichica dell’ individuo e lo preparano alla meditazione, ovvero agli altri quattro stadi dell’ Asthanga Yoga: Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi.


YAMA

Nel primo stadio, lo Yama, l’ individuo si trova ad analizzare il proprio comportamento verso gli altri, la società e l’ambiente in cui vive.

In questo livello la maggior attenzione viene portata alle cose da “non fare”, cioè vengo elencati tutti gli atteggiamenti da evitare al fine di eliminare completamente tutti i disturbi mentali ed emotivi che caratterizzano la vita dell’essere umano.

Queste regole di comportamento vengono a loro volta suddivise in cinque linee guida:


AHIMSA: è la non violenza, dunque l’astenersi dall’offendere o recar danno a qualsiasi essere vivente, compresi se stessi e questo atteggiamento implica di conseguenza anche una certa alimentazione strettamente vegetariana, nella considerazione che ogni essere vivente non vada ucciso o fatto soffrire volontariamente. SATYA: è la verità benevola e sta alla base di una retta comunicazione con gli altri attraverso parole, gesti ed azioni sincere.

ASTEYA: è l’astensione dall’appropriamento indebito e quindi da ciò che non ci appartiene.

Questo è un atteggiamento di integrità morale non solo verso gli oggetti, ma anche verso gli altri esseri viventi.

BRAHMACARYA: è la visione di Brahma in ogni cosa e di conseguenza, non lasciarsi andare troppo alle emozioni o alle passioni, ma tenendone ben saldo il controllo.

Si può anche spiegare partendo dal presupposto che se si riesce ad avere una visione di Brahma, ma anche di se stessi ad un livello di coscienza più alto, in ogni cosa o persona che incontriamo sul cammino, le nostre azioni saranno più rispettose e gentili ed eviteremo gesti sconsiderati e mossi da impulsi violenti od egoisti.

APARIGRAHA: è l’ astensione dal superfluo e quindi da tutto ciò che è materiale ed in esubero per noi.

Questo atteggiamento indica anche l’astensione dall’ essere avidi e sviluppa la capacità di prendere solo ciò di cui si ha realmente bisogno.


NIYAMA

Nel secondo stadio, il Niyama, l’individuo si trova di fronte le indicazioni generali su come comportarsi con se stesso e col proprio corpo, in base ad atteggiamenti ed azioni da seguire.

Queste pratiche sono un po’ come le “cose da fare” per osservare un corretto approccio con se stessi.

Anche questo stadio è suddiviso a sua volta secondo altre cinque linee guida:

SAUCA: indica la purezza e l’igiene fisica, che porta poi ad un’ igiene mentale e spirituale.

In questo livello si dà importanza ad una pulizia interiore, fisica soprattutto, dove il nostro corpo si disintossica da tossine ingerite attraverso l’alimentazione sbagliata e da agenti patogeni.

In questo modo il corpo è libero di reagire in maniera sana agli agenti esterni ed interni, ottiene un metabolismo forte ed un sistema immunitario che funziona alla perfezione.

Questa pulizia del corpo, aiuta di conseguenza anche la mente a stare bene, a funzionare al meglio e ad avere pensieri più sani e “puliti”.

SANTOSA: è l’ atteggiamento sereno, l’accontentarsi ed indica lo stato mentale di essere soddisfatti di ciò che si possiede.

Questo livello ci predispone ad un atteggiamento mentale di appagamento, non solo per ciò che si ha, ma anche per ciò che non si ha, ci aiuta a capire realmente ciò che abbiamo e ciò che ci serve e ci aiuta a capire quanto dobbiamo ringraziare la nostra vita per le cose che ci dona sul cammino e quanto valore gli diamo.

Nello yoga il desiderare troppo e continuamente cose materiali destabilizza la nostra mente e ci allontana dal percorso spirituale.

TAPAS: è l’ autodisciplina che ci consente di cimentarsi con costanza, passione e decisione al conseguimento della propria realizzazione.

Questa pratica consiste nell’ascolto continuo del proprio corpo e nel capire e comprendere ciò di cui ha bisogno.

SVADHYAYA: indica lo studio del Sé più profondo, sia dalla propria esperienza, che dagli studi veri e propri delle scritture e dei testi tradizionali.

Questa pratica ci consente di applicare ciò che possiamo trovare sulle varie scritture tradizionali a noi stessi e capire bene di cosa abbiamo bisogno, cosa ci serve e dove abbiamo più bisogno di imparare per lavorare bene.

Lo studio ci permette di portare in pratica certi insegnamenti e di trasformali in azioni quotidiane, per poi farle divenire a loro volta insegnamenti dell’ esperienza.

ISHVARA PRANIDHANA: è l’ abbandono al supremo, il meditare e concentrarsi sul Principio, l’Origine, è l’accettazione di ciò che accade, il dedicarsi al principio divino dell’ universo.

La devozione e l’ arrendevolezza che donano la pace e la completezza.

Questo concetto non va inteso in senso negativo, ma come un impegnarsi al meglio delle proprie possibilità, prendendo ed accettando tutto ciò che viene di conseguenza; indica uno stato di pace assoluta.


ASANA

Nel terzo stadio, l’Asana, l’individuo si trova a lavorare sulla propria postura, poiché la parola “asana” significa “sedersi correttamente, postura”.

In questo stadio si integrano nella pratica alcune posizioni particolari, attraverso le quali il praticante diviene in grado di purificare i propri canali energetici, incanalare l'energia verso specifici punti del corpo ed ottenere così un notevole beneficio psicofisico.

Lo scopo di queste posture non è, come invece molti e soprattutto in occidente pensano, quello di riuscire ad effettuare le diverse asana alla perfezione, ma è quello di utilizzare tali posture per aprire il corpo sia energeticamente che fisicamente e poter così conseguire una seduta comoda (posizione del loto) nella pratica della meditazione, al fine di raggiungere facilmente gli altri stadi dello Yoga.

La posizione del loto infatti, è un’ asana molto particolare, perché crea le condizioni favorevoli per allineare i chakra e fa sì che la schiena, come le gambe, non creino fastidio durante l’atto meditativo.

Si dice infatti che basti solo assumere questa postura, per raggiungere un livello alto di meditazione ed aprire così la strada allo stato di estasi totale.

Purtroppo alcune correnti di pensiero, soprattutto in occidente, vedono l’esecuzione delle asana come fine ultimo dello Yoga stesso e proprio per questo motivo, tante persone credono che questa antica ed affascinante pratica spirituale, sia soltanto una pratica puramente fisica, una specie di “stretching” per il corpo, per renderlo più flessibile e basta.

Se invece queste persone si soffermassero ad analizzare le diverse asana da un punto di vista diverso, più completo, si renderebbero conto che queste hanno proprietà e benefici non solo sul corpo fisico, ma anche sul piano energetico e mentale.

Utilizzando infatti la pratica delle Asana giornalmente ed adattandola ai propri bisogni psicofisici, si possono ottenere svariati benefici sin da subito.


PRANAYAMA

Nel quarto stadio, il Pranayama, il praticante si trova ad esercitarsi ad ottenere un maggiore controllo dell’energia vitale, attraverso il controllo del respiro.


Prana = energia vitale.

Yama = controllo.


Il controllo del proprio respiro, consente un’acquisizione di consapevolezza e permette di portare la propria attenzione sul presente.

Lo scopo di questa tecnica è quello di far fermare lo scorrere dell’ energia vitale e fermare così la mente per espanderne la coscienza.

Questa pratica però necessita l’attenzione di un maestro, perché và modulata da persona a persona, in base al corpo e alle diverse attitudini di un individuo.

Tra le diverse tecniche di Pranayama, ricordiamo le principali:

Ujjayi Pranayama (respiro del vittorioso)

Nadi Shodana (respirazione a narici alternate)

Kumbaca (respirazione con ritenzione).

PRATIYAHARA

Il quinto stadio, quello del Pratiyahara, consente all’individuo, insieme alla pratica del Pranayama, di ritrarre la mente dal mondo esteriore e dai livelli più grezzi di esso.

Le diverse tecniche di respirazione infatti, predispongono la mente a portare l’attenzione sul respiro stesso e sull’oggetto della meditazione, in modo che i pensieri e la frequenza energetica che si creano, saranno su di un livello più elevato di coscienza e di conseguenza distaccati dalle cose materiali e futili per una corretta espansione del Sé.

Questo distacco della coscienza e dei sensi dall’esterno all'interno, è un assorbimento che induce con facilità il passaggio all’anga successivo, quello del Dharana.

DHARANA

Il sesto stadio, il Dharana, permette al praticante di sviluppare una certa capacità di concentrazione, di diventare cioè tutt’ uno con quello che è l’oggetto della meditazione.

Il Dharana consente alla mente di focalizzare un solo oggetto escludendo tutti gli altri e questo permette alla mente dell’ individuo di eliminare le distrazioni e consente così di entrare nei livelli più spirituali del percorso yogico.

Questo stadio consiste nel riportare continuamente il pensiero sull’ oggetto della meditazione, così da allenarla, in modo che con assidua pratica, lo sforzo risulterà sempre minore e la mente avrà meno difficoltà nel mantenere la concentrazione.

La parola “dharana” significa “tenere” e questa pratica può risultare efficace anche nella vita quotidiana di una persona, perché la aiuta a sviluppare e tenere appunto, una certa concentrazione in ogni occasione la propria vita ne abbia bisogno.

Quando la mente sviluppa una certa capacità di concentrarsi bene, l‘oggetto della meditazione riceve la giusta energia e le giuste sensazioni ed il risultato sarà preciso e positivo per chi pratica in maniera esatta questa fase e questo diviene un requisito indispensabile per i passi successivi.

DHYANA

Il settimo stadio, il Dhyana, rappresenta per il praticante l’ingresso nella meditazione vera e propria, dove non esistono più distrazioni per la mente.

Dhyana è infatti un termine sanscrito che significa letteralmente “meditazione”.

In questa fase la mente è al passo successivo della concentrazione (dharana) ed entra nella fase della contemplazione.

Questo stadio secondo Patanjali, a differenza dello stadio di concentrazione dove la mente può risultare fluttuante, non presenta spostamenti di pensiero, ma solo contemplazione interna senza distrazioni.

Come il Dharana è il passo che porta al Dhyana automaticamente, così il Dhyana apre le porte del Samadhi.

SAMADHI

Il fine ultimo ed ottavo stadio dell’Asthanga Yoga è il Samadhi.


Sama = uguale.

Adhi = l’origine di tutto.


Qui viene raggiunta l’ unione, lo Yoga (unione tra Jivatman e Paramatman).

Il Samadhi può essere definito come uno stato di profondo equilibrio, di raggiungimento del benessere totale, tramite un percorso che porta ad uno stato di profonda realizzazione.

In questa fase l’individuo è purificato mentalmente e fisicamente, comodo, concentrato, libero dall’ ego e dai livelli più grezzi della materia, fuori da qualsiasi tipo di distrazione e connesso col Tutto.

Questa è la fase ultima scopo di tutti gli otto anga dell’ Asthanga Yoga di Patanjali.

Gli ultimi tre stadi, Dharana, Dhyana e Samadhi, insieme costituiscono il SAMIAMA ed ogni fase è la conseguenza di quella precedente.

In questo percorso bisogna puntualizzare però che ogni stadio non può essere dissociato dagli altri, se ne otterrebbe uno squilibrio.


Conclusioni

Dopo aver spiegato il concetto di Asthanga Yoga definito da Patanjali nella sua opera, gli “Yoga Sutra”, è bene tenere a mente che qui si parla di Yoga Reale (Raja yoga), anche se poi successivamente altri hanno ridefinito le pratiche yogiche secondo la loro filosofia.

Questa pratica spirituale è resistita ed è stata tramandata dalle origini ad oggi e si è allargata a molte civiltà del mondo, proprio perché è rimasta nei secoli equilibrata ed alla portata di tutti, lo yoga infatti è una disciplina che si adatta ai bisogni di un individuo ed alle epoche storiche, mantenendone il significato originale nel tempo

Genny Moccia



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